L’utilizzo delle protesi dell’ ATM non ha avuto la diffusione come in altre articolazioni questo sia perché si è sempre cercato di risolvere in modo conservativo i problemi inerenti questa articolazione sia perché molte protesi utilizzate negli anni novanta si sono rivelate non idonee e sono dovute essere ritirate dal mercato. Negli ultimi anni grazie ad un miglioramento dei materiali, della componentistica e alla possibilità di meglio progettare il tipo di protesi da posizionare mediante metodiche CAD/CAM si è assistito ad una loro nuova diffusione.
DISPOSITIVI PROTESICI PER LA CHIRURGIA RICOSTRUTTIVA DELL’ARTICOLAZIONE TEMPOROMANDIBOLARE
INTRODUZIONE
L’articolazione temporomandibolare (ATM) è soggetta a molte patologie comuni ad altre articolazioni del corpo umano, e similitudini con patologie a carico di altri distretti esistono anche per quanto riguarda l’impatto psicosociale che i disordini temporomandibolari (DTM) hanno sulla vita del paziente (1-3). Nello studio del paziente candidato ad un intervento chirurgico dell’ATM è imperativo comprendere la reale entità della patologia in sede diagnostica prima di procedere ad interventi di tipo ricostruttivo.
Un altro aspetto fondamentale riguarda la pianificazione e valutazione dei rischi connessi all’intervento chirurgico, insieme ad un’attenta pesatura dei vantaggi e del rapporto costo-benefici (4,5).
Nonostante queste premesse, è evidente che per anni, gli specialisti odontoiatri hanno prescritto determinati trattamenti, reversibili e non, al fine di migliorare i sintomi di disordini temporomandibolari, senza aver condotto un preciso inquadramento diagnostico (6-16). In un contesto spesso confuso, gli interventi ricostruttivi dell’ATM hanno avuto una minima diffusione, a causa della loro natura di irreversibilità e di “estremo rimedio” non facile da far accettare ai pazienti, ma anche a causa della scarsa pubblicizzazione dei confortanti risultati riportati negli studi della letteratura internazionale (5,17,18).
Secondo gli ultimi studi della letteratura, milioni di persone nel mondo soffrono di sintomi in diversa misura invalidanti ed attribuibili ad un disordine temporomandibolare (19-30). Le opzioni terapeutiche a disposizione del clinico di fronte a tali pazienti vanno da un semplice monitoraggio dei sintomi ai più complessi interventi chirurgici, passando attraverso terapie conservative e reversibili, quali interventi cognitivo-comportamentali, fisioterapia, applicazione di splint occlusali, prescrizione di farmaci.
Nel caso della chirurgia major dell’ATM, in molti casi purtroppo le percentuali di successo descritte nei vari studi non sono risultate del tutto ottimali. Interventi quali la meniscectomia, la condilectomia, le artroplastiche con interposizione e/o impiego di tessuti autologhi (derma, muscolo-fascia temporale, cartilagine dell’orecchio ed altri ancora) comportano un discreto rischio di insuccesso a causa dei tessuti sostitutivi impiegati. Gli impianti autologhi di ATM hanno un tasso di fallimento che varia dal 75% al 92% a seconda del tipo di tessuto impiegato per l’innesto. Simili problemi sono sorti agli albori della chirurgia ricostruttiva dell’ATM con materiali alloplastici, quando la scelta di materiali non propriamente idonei (es. silicone, teflon) ha portato a risultati insoddisfacenti (5, 31-34).
Tali osservazioni hanno contribuito a creare scetticismo sull’effettiva possibilità e vantaggi di un ricorso alla chirurgia ricostruttiva e/o agli impianti di ATM.
In realtà, nonostante tali premesse, esistono in commercio numerosi tipi di materiali ricostruttivi e di protesi da impiegare nella chirurgia alloplastica dell’ATM, il cui utilizzo si va perfezionando al punto da rendere necessaria una rivalutazione della loro utilità.
Lo scopo di questo lavoro è pertanto quello di condurre una accurata revisione della letteratura sui diversi dispositivi e materiali protesici per l’articolazione temporomandibolare, con particolare attenzione alle protesi totali, che attualmente sembrano dare le più incoraggianti prospettive di impiego.
TIPI DI PROTESI
Una recente metanalisi della letteratura, commissionata da un’azienda produttrice di manufatti protesici per l’articolazione temporomandibolare, e quindi non pubblicata su periodici indicizzati, ha evidenziato che esistono almeno 12 studi in letteratura nei quali è stata valutata l’efficacia terapeutica della riabilitazione protesica dell’ATM. Tali studi, che hanno coinvolto un totale di 3.700 pazienti e 280 chirurghi, hanno riguardato l’impiego dei tre principali dispositivi protesici: la protesi di Christensen (TMJ Implants, Inc., USA), nelle sue versioni totale (protesi fossa-condilo) e parziale (protesi fossa-eminenza e protesi condilare per ricostruzioni alloplastiche); la protesi totale di Mercuri (TMJ Concepts, Inc., USA); la protesi totale di Lorenz (Biomet, Inc., USA) (36-47).
La principale mole di dati della letteratura riguarda l’impiego della protesi di Christensen (4.259 articolazioni, di cui circa un migliaio sottoposte a riabilitazione totale), mentre sulle protesi di Mercuri e Lorenz sono disponibili dati su un minor numero di articolazioni (313 e 268 rispettivamente, tutte rabilitazioni totali).
I primi interventi di ricostruzione alloplastica dell’ATM sono stati condotti impiegando la protesi condilare di Christensen. Tuttavia, osservazioni cliniche poco confortanti ed il rischio di provocare rimodellamenti indesiderati sulla superficie ossea della fossa glenoide che articola con la protesi, hanno nel corso degli anni suggerito il ricorso a dispositivi protesici di tipo totale, ossia con entrambi i capi articolari in materiale allo plastico (41,43).
Attualmente, le protesi parziali vengono utilizzate di rado, anche se la minore invasività dell’intervento chirurgico le rende talvolta preferibili al dispositivo totale nei casi delle articolazioni meno danneggiate.
La maggioranza degli interventi chirurgici per la protesizzazione dell’ATM riguarda riabilitazioni di tipo totale, che trovano indicazione nei casi di estrema severità in pazienti con artrite, deformità funzionali, esiti di traumi, anchilosi, fratture, malattie dello sviluppo, ed anche in caso di revisione di precedenti interventi chirurgici.
Le protesi totali dell’articolazione temporomandibolare sono quindi del tipo “pestello e mortaio”, simile a quelle impiegate per le protesi di anca e ginocchio.
Le principali componenti della protesi totale dell’ATM sono:
– Impianto condilare (o mandibolare), generalmente costituito da una lega metallica in Cromo-Cobalto-Molibdeno (Co-Cr-Mo) con un rivestimento poroso in titanio irruvidito sulla parte dell’impianto che trae rapporto con l’osso. La lega metallica Co-Cr-Mo contiene anche nickel ed è rivestita da polietilene.
– Impianto della fossa glenoide, costituito di polieteilene rigido e plastico. La fossa è costituita da polietilene fuso, materiale che ha mostrato eccellente resistenza all’usura durante i test meccanici di laboratorio.
– Viti di fissaggio, in lega di titanio, impiegate per fissare sia l’impianto condilare che quello della fossa all’osso (43,48).
TECNICA CHIRURGICA
L’approccio chirurgico per il posizionamento di un dispositivo protesico totale è costituito dalle classiche vie preauricolare e sottomandibolare. La via di accesso preauricolare può essere modificata includendo le modifiche di Al-Kyatt e Bramley.
In realtà, molti pazienti selezionati per questo tipo di procedura chirurgica sono già stati sottoposti ad altri interventi in precedenza, per cui la classica anatomia comunemente descritta per l’accesso chirurgico all’ATM può essere distorta o addirittura inesistente.
In alcuni casi, ed in particolare nelle articolazioni in anchilosi, la scelta della via di accesso può cadere su un’incisone emicoronale o bicoronale per un migliore accesso alla fossa. Tali incisioni infatti consentono un buon accesso all’aspetto anteriore dello zigomo e del processo coronoide nei casi più complessi (5,18).
Una volta effettuate le incisioni preauricolari e sottomandibolari e guadagnata una buona via di accesso alla fossa glenoide, si può procedere con la resezione condilare, propedeutica alla sostituzione del preocesso condiloideo con un condilo artificiale. In questa fase può essere utile preparare una mascherina chirurgica in fase di progettazione dell’intervento, così da localizzare con esattezza l’area da resecare.
Allo stesso modo, in questa fase si può procedere alla resezione del processo coronoideo.
L’opzione chirurgica che prevede la possibilità di creare mascherine chirurgiche è stata solo recentemente introdotta da Mercuri et al, nella presentazione delle loro innovative protesi personalizzate (“patient-fitted”), che hanno consentito di superare i limiti delle protesi convenzionali standardizzate (40,46).
Fino alla metà degli anni ’90 l’intervento di riabilitazione protesica dell’ATM prevedeva che i capi ossei venissero resecati e modellati in modo da consentire l’inserimento dell protesi. Tale modus operandi aveva il notevole svantaggio di constringere spesso il chirurgo a demolire vaste aree di tessuto osseo, con conseguente aumento dei rischi di insuccesso per carenza di ancoraggio.
La personalizzazione della protesi consente di rimodellare anche la cavità glenoide in base a quanto stabilito in fase preoperatoria (43).
Una volta modellate le due estremità articolari per accogliere la protesi, si può procedere con la verifica del suo adattamento, con l’accortezza di posizionare prima la parte madibolare e di non fissarle prima di averne attentamente controllato l’adattamento passivo.
La fissazione della protesi deve avvenire con il paziente in posizione di massima intercuspidazione. La finalizzazione dell’intevrneto deve avvenire una volta assicurata la posizione centrale della testa condilare rispetto alla fossa in senso medio-laterale e l’appoggio della testa condilare contro la parete posteriore della fossa.
Nel periodo post-operatorio è bene limitare al minimo gli sforzi in apertura, ed è fondamentale far eseguire al paziente esercizi di fisoterapia e fissare i due mascellari con elastici in modo da consentire un progressivo rinforzo dei tessuti molli e della muscolatura.
La dieta deve essere liquida nel periodo di impiego degli elastici, per poi incominciare progressivamente con una dieta soffice e gradatamente permetetre al paziente di autogestirsi nell’alimentazione.
ASPETTI CLINICI E SUCCESSO TERAPEUTICO
Molti testi della letteratura fanno risalire l’inizio della “moderna” chirurgia dell’articolazione temporomandibolare al 1840, quando un chirurgo statunitense, Carnochan, ebbe l’idea di interporre del materiale (all’epoca egli impiegò del legno) tra i capi ossei di un’articolazione anchilosata dopo aver creato chirurgicamente un gap tra le due superfici (43).
Da quel momento, e soprattutto nella seconda metà del ventesimo secolo, parecchi autori tentarono di sperimentare e descrivere le proprie tecniche e l’impiego di nuovi materiali.
Fino alla metà degli anni ’80 le ricostruzioni alloplastiche dell’articolazione temporomandibolare venivano principalmente eseguite mediante l’impiego di materiali siliconici e teflon. Tuttavia, tali impianti hanno mostrato una percentuale di fallimenti elevatissima, ed un consistente numero di pazienti ha riportato conseguenze in termini di una aumentata disfunzionalità stomatognatica a seguito del fallimento impiantare (49-53). I danni da essi causati sono stati notevoli soprattutto in termini di devastazione dei capi articolari, e sono spesso stati tali da rendere impossibile un secondo intervento chirurgico eseguito con le tecniche allora disponibili. Per questo motivo, e per la natura e l’impatto sociale che il problema rischiava di assumere, dalla seconda metà degli anni ’80 e nei primi anni ’90 c’è stato un forte incremento dell’interesse degli studiosi verso la ricerca dei materiali e delle tecniche più idonee alla ricostruzione alloplastica dell’articolazione temporomandibolare (43,48).
Tale spinta innovativa ha portato a consistenti miglioramenti sia nel campo dei materiali e del disegno delle protesi che in quello delle metodiche chirurgiche.
Per quanto riguarda i primi, è stato ampiamente dimostrato che la migliore combinazione di materiali è quella che prevede un ramo mandibolare in titanio, una componente condilare in lega cromo-cobalto-molibdeno rivestita di polietilene fuso ed una componente della fossa glenoide in titanio rivestito di polietilene fuso.
Il politetilene fuso è il materiale che ha mostrato la migiore resistenza all’usura, e per questo il suo impiego si sta ampiamente diffondendo.
Tale descrizione, che prevede una componente condilare ed una glenoidea, presuppone l’impiego di una protesi totale dell’ATM, ossia con entrambi i capi articolari artificiali. Questo tipo di riabilitazione presenta minori rischi di insuccesso rispetto alla protesi parziale, ossia quella che prevede una componente condilare artificiale che articola con la fossa glenoide naturale e semplicemente rimodellata per accogliere il condilo artificiale. Le protesi parziali hanno infatti mostrato insuccessi dovuti all’innaturale rimodellamento della cavità glenoide a contatto con la ricostruzione condilare.
Considerate le suddette premesse, le protesi totali sono attualmente da considerarsi la metodica riabilitativa d’elezione per la chirurgia alloplastica dell’ATM, anche se alcuni recenti dati della letteratura sembrerebbero dimostrare che nei casi meno severi la percentuale di successo (valutata con parametri clinici quali ad esempio apertura della bocca e dolore alla masticazione) delle riabilitazioni parziali e totali sia sovrapponibile.
Ulteriori progressi sono stati compiuti con l’introduzione delle protesi totali “patient-fitted”, ossia personalizzate, introdotte da Mercuri et al nel 1995 (54). Tali protesi sono realizzate grazie alla tecnica CAD/CAM (Computer-Assisted Design/Computer-Assisted Manufacturing), mediante la quale è possibile progettare la protesi al computer su un modello di tomografia assiale computerizzata tridimensionale e poi realizzarla fedelmente in laboratorio.
La metodica di riabilitazione mediante protesi CAD/CAM offre innegabili ed ovvi vantaggi rispetto alle metodiche tradizionali che, come sopra descritto, costringono spesso ad effettuare demolizioni troppo/poco estese per adattare i capi articolari artificiali.
In generale, gli studi della letteratura sono comunque ancora numericamente scarsi e metodologicamente non sempre corretti per poter ricavare dati definitivi sull’efficacia e sul successo delle riabilitazioni alloplastiche totali. Ciò è dovuto a problemi di natura sia commerciale (molti lavori sono infatti sponsorizzati dalle aziende) che clinico-scientifica.
Quest’ultimo aspetto, in particolare, risente del fatto che in realtà le indicazioni alla protesizzazione totale dell’ATM non sono state ancora del tutto chiarite ed accettate dalla comunità scientifica: ciò impedisce il confronto dei dati dei diversi studi, a causa della spesso totale disomogeneità del campione, e lascia sorgere problemi di natura etica in sede di reclutamento dei pazienti.
Un aspetto molto importante da tenere in considerazione è che la ricostruzione alloplastica di un’articolazione è una soluzione biomeccanica ad una severa disfunzione articolare, e non biologica. Pertanto, quando possibile, una soluzione biologica, ossia che preveda l’impiego di materiale autologo (es: interposizione di fascia temporale tra i due capi ossei negli interventi di anchilosi), è da preferirsi.
Considerate queste premesse, secondo i più moderni orientamenti le riabilitazioni alloplastiche totali o paziali dell’ATM potrebbero trovare impiego nei casi di:
– anchilosi o re-anchilosi con severe anomalie osse
– fallimento di impianti autologhi in pazienti già sottoposti a molteplici interventi
– distruzione di un impianto autologo a causa di una patologia
– fallimento di impianti alloplastici in proplast-teflon, risultatnti in severe mutilazioni anatomiche
– fallimento di precedenti protesi totali o parziali in materiali alloplastici non più utilizzati
– severe patologie infiammatorio-degenrative, quali ad esempio l’artrite reumatoide, risultanti in deformazione articolare e disabilità funzionale
Allo stesso modo, tali interventi sono controindicati in caso di pazienti troppo giovani, diabetici, allergici ai materiali protesici, o soggetti con infezioni alla sede dell’impianto.
CONCLUSIONI
Alla luce di quanto descritto, accanto all’inevitabile interesse che i progressi nel campo della protesizzazione dell’ATM sono destinati a suscitare nella comunità scientifica, emerge la necessità di comprendere meglio molti aspetti che ne regolerebbero al meglio l’impiego e faciliterebbero la diffusione.
Una miglior definizione dei casi da sottoporre a riabilitazione protesica è un passo fondamentale per dare fondamenta scientifiche a procedure che ancora oggi appaiono troppo spesso suggerite da osservazioni cliniche e supportate da dati empirici.
Ciononostante, la possibilità di sottoporre l’articolazione temporomandibolare ad interventi di riabilitazione definitiva, come avviene per molte altre articolazioni del corpo umano, rimane una sfida intrigante. Ciò appare interessante in considerazione dell’importante ruolo dell’ATM, che è il fulcro del sistema stomatognatico ed è sollecitata in funzioni di base quali la masticazione e la fonazione, una cui disfunzione può avere un impatto psicosociale notevole, come ben descritto in letteratura.
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Presentazione sulla Protesi dell’Articolazione Temporo Mandibolare
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