Oltre il semplice “Mal di Mandibola“
L’artrosi dell’articolazione temporo-mandibolare (ATM), definita in ambito clinico come osteoartrosi (OA), rappresenta una delle patologie degenerative più complesse e invalidanti del distretto cranio-facciale. A differenza di quanto spesso percepito nel linguaggio comune, non si tratta di un semplice “dolore alla mascella” o di un disturbo passeggero, ma di una malattia degenerativa cronica non infiammatoria (o meglio, a bassa componente infiammatoria sistemica) che colpisce i tessuti duri e molli dell’articolazione che collega la mandibola all’osso temporale del cranio.
Questa articolazione è unica nel corpo umano: è una diartrosi bicondiloidea, il che significa che le due articolazioni (destra e sinistra) devono funzionare in perfetta sincronia, e le superfici articolari sono rivestite da fibrocartilagine, un tessuto più resistente e con maggiori capacità riparative rispetto alla cartilagine ialina presente, ad esempio, nel ginocchio o nell’anca. Tuttavia, quando la capacità di adattamento e riparazione di questo tessuto viene superata dal carico funzionale o da fattori biologici avversi, si innesca il processo artrosico.
Eziopatogenesi: Cosa accade all’interno dell’articolazione?
Per comprendere l’artrosi dell’ATM, dobbiamo guardare al livello microscopico e biochimico. La malattia è il risultato di uno squilibrio tra i processi anabolici (costruzione e riparazione del tessuto) e i processi catabolici (distruzione del tessuto).
Quando l’articolazione è sottoposta a stress meccanici eccessivi (microtraumi ripetuti o macrotraumi) o quando vi è una predisposizione metabolica, i condrociti (le cellule della cartilagine) iniziano a produrre enzimi proteolitici e citochine infiammatorie, come l’Interleuchina-1 (IL-1) e il Tumor Necrosis Factor (TNF-alfa).
Questo cocktail biochimico porta a una serie di eventi a cascata:
Degradazione della matrice: La cartilagine si ammorbidisce e si frammenta (fibrillazione).
Coinvolgimento dell’osso subcondrale: L’osso sottostante la cartilagine, non più protetto, reagisce addensandosi (sclerosi) o formando cisti (geodi).
Rimodellamento osseo: Nel tentativo di stabilizzare l’articolazione, l’osso crea escrescenze marginali chiamate osteofiti (i cosiddetti “becchi osteofitici”), che limitano il movimento e generano dolore.
È fondamentale notare che l’artrosi dell’ATM è spesso la fase finale di un lungo periodo di disfunzione interna, come la dislocazione del disco articolare. Quando il disco (il “cuscinetto” che si interpone tra i capi ossei) si sposta in modo permanente, le superfici ossee sfregano direttamente l’una contro l’altra, accelerando la degenerazione.
Il Quadro Clinico: Sintomi e Segni Distintivi
Il paziente affetto da OA dell’ATM presenta una sintomatologia specifica che il clinico esperto deve saper distinguere dai dolori di origine muscolare (mialgie).
Il Crepitio (Crepitus): È il segno patognomonico (distintivo) dell’artrosi. A differenza del “click” (uno scatto netto) che indica solitamente un problema del disco, il crepitio è un rumore simile a “sabbia”, “ghiaia” o “vetro che si rompe” percepibile durante l’apertura e la chiusura della bocca. Questo suono è generato dallo sfregamento delle superfici ossee irregolari.
Limitazione funzionale: Il paziente lamenta rigidità, specialmente al mattino, e una progressiva riduzione dell’apertura della bocca. I movimenti laterali (diduzione) possono essere asimmetrici.
Dolore: Il dolore è solitamente localizzato nell’area pre-auricolare (davanti all’orecchio), ma può irradiarsi alle tempie, al collo e alla regione occipitale. È un dolore di tipo meccanico: peggiora con la masticazione di cibi duri e migliora con il riposo.
Diagnosi Strumentale: L’importanza del “Gold Standard”
La diagnosi non può basarsi solo sull’esame clinico. Sebbene la palpazione e l’auscultazione dei rumori siano fondamentali, la conferma della diagnosi di artrosi richiede l’imaging radiologico.
Ortopantomografia (Panoramica): È utile per uno screening iniziale, ma è insufficiente per una diagnosi precisa di artrosi nelle fasi precoci, poiché offre un’immagine bidimensionale e spesso distorta dei condili.
CBCT (Cone Beam Computed Tomography): È attualmente il Gold Standard per la valutazione delle strutture ossee dell’ATM. Permette di visualizzare con estrema precisione:
Erosioni della corticale ossea.
Osteofiti (speroni ossei).
Sclerosi subcondrale (indurimento dell’osso).
Appiattimento del condilo mandibolare.
Risonanza Magnetica (RMN): È fondamentale non tanto per l’osso, quanto per valutare i tessuti molli. La RMN ci dice dove si trova il disco articolare, se è deformato e, soprattutto, se c’è un versamento articolare o edema midollare (segni di infiammazione attiva o “artrite” sovrapposta all’artrosi).

Approccio Terapeutico: La Piramide del Trattamento
La gestione dell’artrosi dell’ATM segue un approccio “a gradini” o piramidale, partendo dalle terapie meno invasive fino ad arrivare, solo nei casi refrattari, alla chirurgia. L’obiettivo primario non è “guarire” l’artrosi (l’osso degenerato non torna nuovo), ma eliminare il dolore, ripristinare la funzione e arrestare la progressione della malattia.
1. Terapia Conservativa e Comportamentale (La Base)
Il primo passo è educare il paziente. L’articolazione deve essere messa a “riposo relativo”.
Dieta morbida: Ridurre il carico masticatorio è essenziale per permettere all’infiammazione di placarsi.
Fisioterapia mirata: Esercizi di stretching passivo e rinforzo isometrico, guidati da fisioterapisti specializzati in disordini craniomandibolari, aiutano a mantenere la mobilità senza sovraccaricare l’articolazione.
Farmacologia: L’uso ciclico di FANS (antinfiammatori non steroidei) per brevi periodi aiuta a gestire le fasi acute. In alcuni casi, si utilizzano miorilassanti per ridurre la componente contratturale muscolare associata.
2. Terapia Ortosica (Bite Plane)
L’uso di dispositivi intraorali, come le placche di stabilizzazione (bite), è un pilastro del trattamento. Un bite rigido, confezionato su misura (solitamente per l’arcata superiore), svolge diverse funzioni:
Riduce il carico sulle superfici articolari.
Decomprime l’articolazione, aumentando leggermente lo spazio intrarticolare.
Riduce il serramento o digrignamento notturno (bruxismo), che è un fattore aggravante primario dell’artrosi.
3. Terapia Mini-Invasiva: L’era dell’Artrocentesi e delle Infiltrazioni
Quando la terapia conservativa non è sufficiente, l’odontoiatra o il chirurgo maxillo-facciale può intervenire direttamente all’interno dell’articolazione con procedure minimamente invasive.
Artrocentesi (Lavaggio Articolare): Consiste nell’inserire due aghi (o un ago a doppia via) nello spazio articolare superiore per “lavare” l’articolazione con soluzione fisiologica. Questo rimuove meccanicamente i cataboliti infiammatori (le sostanze chimiche del dolore e della distruzione) e distende la capsula articolare, migliorando immediatamente l’apertura della bocca.
Viscosupplementazione (Acido Ialuronico): Al termine del lavaggio, si inietta acido ialuronico ad alto o medio peso molecolare. Questa sostanza, naturalmente presente nel liquido sinoviale sano, lubrifica i capi ossei e nutre la cartilagine residua, agendo come un ammortizzatore.
PRP (Plasma Ricco di Piastrine): Una frontiera più recente è l’uso del PRP, ottenuto centrifugando il sangue del paziente stesso. Il PRP è ricco di fattori di crescita che possono stimolare una rigenerazione tessutale e hanno un potente effetto antinfiammatorio biologico. Gli studi recenti suggeriscono che il PRP possa essere superiore all’acido ialuronico nel lungo termine per la gestione dell’artrosi.
4. Chirurgia (L’ultimo stadio)
La chirurgia “aperta” è riservata a meno del 5% dei casi, quando l’articolazione è gravemente distrutta (anchilosi ossea) o i dolori sono intrattabili con altri mezzi.
Artroplastica: Rimodellamento delle superfici ossee per renderle più lisce.
Sostituzione Protesica Totale: Nei casi di distruzione totale, si sostituisce l’ATM con una protesi in titanio e polietilene, simile a quanto avviene per le protesi d’anca. Si tratta di interventi complessi che richiedono altissima specializzazione.
Prognosi dell’Artrosi dell’Articolazione Temporo-Mandibolare
L’artrosi dell’ATM è una patologia cronica, ma non deve essere una condanna al dolore perpetuo. La scienza medica moderna ci insegna che la plasticità biologica dell’essere umano è notevole. Con un trattamento tempestivo e multimodale, la maggior parte dei pazienti raggiunge uno stato di “adattamento funzionale”: l’articolazione cambia forma (rimodellamento), ma smette di fare male e consente una vita normale.
Il segreto del successo terapeutico risiede nella diagnosi precoce e nell’approccio conservativo. Ignorare i primi segni (rumori articolari, affaticamento masticatorio) porta spesso a danni irreversibili. La collaborazione tra paziente, gnatologo (l’odontoiatra specialista dell’ATM), fisioterapista e chirurgo maxillo-facciale è la chiave per gestire con successo questa complessa patologia e restituire al paziente il sorriso e il piacere di un pasto senza dolore.
Il dr. Luca Guarda Nardini si occupa di chirurgia maxillo facciale per la risoluzione di problematiche complesse come i trattamenti dell’artrosi dell’articolazione temporo mandiboalre e la chirurgia orale.







